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  1. °Michi°
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    ed eccomi qui con l'ennesima FF... anche se questa l'ho iniziata a scrivere un ora fa!
    volevo sapere cosa ne pensavate!

    Capitolo 1
    Non sempre le cose vanno come ti aspetti..



    Non avevo mai pensato a come sarebbe stata la mia vita in futuro, ma certo, non sapevo che essere la fidanzata, e poi ex moglie di Duncan James sarebbe stato tanto difficile.
    Non eravamo finiti in quella situazione per colpa nostra, ma del resto del mondo.
    La nostra storia era stata subito bombardata dai giornalisti che volevano la notizia, prima ancora che noi stessi avessimo il tempo di metabolizzarla.
    E fu così che ebbe inizio tutto, ed ebbe anche fine. E per colpa loro io a 23 anni mi ritrovavo già una separazione da affrontare e la mia carriera da cantante non andava molto meglio di quando avevo iniziato, mentre il mio ex marito se la godeva più che poteva.
    Malgrado il mio matrimonio non sarebbe durato ancora a lungo, tenevo lo stesso la fede al dito. L’avrei tolta alla fine di tutto quel ciclone mediatico.
    Ma quel ciclone mi aveva portato via anche qualcos’altro: la mia vita.
    Ero entrata nel tunnel della depressione da quando Duncan era uscito dalla porta di casa nostra. Dalla stessa porta dalla quale eravamo entrati felici solo 11 mesi prima. Da quel momento non mi era importato più di nulla. Passavo le ore rinchiusa in casa, ignorando le chiamate degli amici, della mia stessa famiglia, o anche quelle riguardanti il lavoro. Tutto aveva perso significato.
    E ora era arrivata la notifica dal tribunale, poche semplici righe che rendevano tutto dannatamente reale:
    Il qui presente Duncan Matthew James, nato a Salisbury il 07 Aprile 1978 chiede in questa sede la separazione consensuale dalla sua coniuge Ginevra Maya Bennett nata a Londra il 14 Giugno 1980, con la conseguente libera separazione dei beni coniugali.
    La richiesta viene emessa per il seguente motivo: differenze inconciliabili.
    Si richiedeva la mia firma, ma la mia mano non voleva saperne di muoversi, forse per ritardare quella definitiva chiusura. La firma del mio quasi ex marito era semplice e decisa, probabilmente non si era soffermato più di tanto a pensare, e questo non poteva che farmi ancora più male.
    La fine di un matrimonio, seppur breve non è mai bello, è un fallimento, è la fine di una promessa tra due persone.
    Inutile sforzarmi, per quel giorno non sarei riuscita a scrivere la parola “fine”.
    Per un altro giorno mi sarei illusa k non era finita, anche se ormai non vivevamo più sotto lo stesso tetto da ben 5 mesi.
    Ogni giorno scendevo un gradino del lungo tunnel della depressione, mi allontanavo sempre di più da quella vita k avevo creduto perfetta e dall'altra parte vedevo sempre tutto più buio e nero.
    Gli amici alla fine si erano stufati di chiamarmi dato che non rispondevo mai alle chiamate o ai messaggi, solo mia madre tentava ancora di contattarmi inutilmente. Sapevo che le davo un dolore, ma mi sentivo svuotata, un sacco vuoto senza emozioni, non avevo voglia di fare niente e di vedere nessuno, mi ero autoesclusa dal mondo.
    Non mi resi subito conto che qualcuno era entrato nell'appartamento, finché una voce familiare non mi raggiunse:
    “Ginny, ci sei?”
    Sapevo benissimo cosa voleva, ed era un incubo, perché doveva venire a tormentarmi per una dannata firma?
    I passi decisi risuonavano nell'ingresso e si facevano sempre più vicini, scorsi una figura avvicinarsi al tavolo dove era rimasto il foglio del tribunale.
    "Dovevo immaginarlo che non l'avevi ancora firmato.."
    Il tono era irritato ovviamente, per lui era tutto semplice, come poteva non aver nessun ripensamento?
    Volutamente non gli risposi, cercavo di ignorarlo il più possibile, ma lui voleva farsi notare.
    Si mise davanti al divano, dove mi ero seduta, e a quel punto dovetti alzare per forza lo sguardo.
    Duncan era vestito nel suo solito modo. Aveva una camicia bianca e un paio di jeans normalissimi. I suoi capelli biondi avevano la loro solita piega di lato. I suoi occhi azzurri però non emanavano la solita luce rassicurante. Era arrabbiato.
    “Sai che dovrai firmarla, vero?” mi fece vedere il foglio
    Abbassai lo sguardo senza dire una parola, ma lui non si diede per vinto. Anzi, sembrava voler girare ancor di più il coltello nella piaga.
    "Ginny hai capito? devi firmarlo e poi tutto finalmente sarà finito.." mi porse il foglio e la penna, ma io non li presi.
    In quei mesi era diventato talmente irriconoscibile.. era come se io gli fossi d’intralcio.
    "Smettila, smettila, smettila.." dissi piano, ma probabilmente abbastanza forte da essere sentita.
    Mi passai una mano tra i capelli, le lacrime cominciarono a rigarmi le guance.
    Ma lui, freddo e distaccato, non si impressionò molto della mia reazione.
    “Mi sono stancato del tuo vittimismo! vedi di firmare questo foglio”
    "Dunk, non credo sia il momento più adatto.." un'altra voce si aggiunse.
    Era Lee, il suo migliore amico.
    Duncan sbuffò irritato. "Ginevra?" si abbassò di modo da guardarmi in faccia. "Firmalo e non ti tormenterò più.." disse indicandolo.
    Ma io non volevo firmarlo. Non lo avrei firmato né in quel giorno e nemmeno in quelli successivi.
    Come poteva pretendere questo da me? non ero in grado di fare una cosa simile. Io non volevo. Una parte di me era ancora ancorata a lui, in quella parte del suo cuore che non era diventato così gelido ed insensibile.
    Così lo ignorai di nuovo, mi alzai e mi diressi in cucina.
    Nella mia mente mi ripetevo delle parole: “Vedrai che poi tutto tornerà a posto..”
    Ma dentro di me sapevo che nulla sarebbe tornato a posto, nulla sarebbe stato come prima, nulla..nulla.
    E all’improvviso capii che quella era la soluzione a tutto, l’unica da seguire.
    Mi guardai intorno e fu in quel momento che il mio sguardo si posò sul ceppo dei coltelli. Era così vicino a me.. così vicino per poter mettere finalmente chiudere con il mio matrimonio e il mio dolore.
    Non capii perché la mente viaggiasse così lontano e me ne meravigliai.
    Lee e Duncan erano ancora in salotto. Avvertivo le loro voci concitate, forse il primo stava cercando di convincere l’altro a lasciarmi stare e aspettare, o tornare un altro giorno.
    Così non si sarebbero accorti di quello che stavo per fare, almeno non prima che fosse troppo tardi.
    Le mie mani agirono prima che io avessi la forza di fermarmi.
    Presi un coltello dal ceppo. La cosa era quasi ironica, perché quel porta coltelli era uno dei tanti regali di nozze di 16 mesi prima.
    Ne esaminai bene la lama, che non essendo mai stata usata era bene affilata.
    L’idea di farla finita con tutto prendeva sempre più piede nella mia testa.
    Ma non volevo fare le cose in modo che fossero prevedibili o troppo comuni.
    Mi avvicinai la lama al fianco. La premetti sulla mia pelle finché non iniziò a penetrare. Ma non avvertii dolore, ma liberazione. Era come se stessi strappando un pezzo di me.
    La premetti ancora più a fondo. La mia maglia aveva ormai una grossa macchia rossa sul lato.
    Ma a me non importava. Tolsi il coltello.
    Stetti lì a guardare il sangue colare e riempirmi le mani, fin quando non sentii una forza abbandonarmi.
    Mi sentivo come se fossi ubriaca. Ero talmente stordita che le gambe faticarono a reggermi e caddi a terra.
    Non badai neanche al fatto che probabilmente avevo fatto rumore e anche che sia Duncan che Lee potevano essersi insospettiti non vedendomi tornare.
    Sentii delle voci, ma erano ovattate. Sembravano allarmate.
    Aprii gli occhi un istante e vidi Lee che mi era vicino.
    “Ginny cos’hai fatto???” diceva, mentre cercava un modo per fermare l’emorragia, ma sembrava non riuscirci. Le sue mani erano sporche di sangue più delle mie. “Duncan! Chiama un’ambulanza!” gli urlò.
    Tuttavia non sentii la sua risposta.
    “Duncan!” lo richiamò
    Percepivo che stavo per andarmene. La mia vista era annebbiata, ma le sagome le distinguevo ancora.
    Distinguevo ancora lui, fermo lì sulla porta come impietrito, gli occhi vitrei e fermi. Non si capacitava della scena che aveva davanti.
    Ma la mia vista era sempre più annebbiata, e i miei sensi mi stavano abbandonando.
    “Ginny, non chiudere gli occhi! Ginny, resta con me! Ginny!!” la voce di Lee era sempre più lontana, io non vedevo più nulla ed ero così stanca.. decisi che era meglio chiudere gli occhi e lasciare il mondo fuori da quel mio guscio.

    Edited by °Michi° - 21/2/2013, 11:44
     
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